Statue of Baios. Photo Credit Moriarty (Atlas Obscura User)

Fra i due mondi: riflessioni sull’immersione a Baia, Italia

Or come un tempo, nell’occhio della mente io scruto,

nei loro freddi abiti dipinti, inappagati e scialbi;

nel blu profondo appaiono del ciel, e poi scompaiono

(W. B. Yeats, I Magi)

Una stranezza dei fantasmi è che sembrano sempre fluttuare.

Bloccati nel limbo, abitano il piano liminale tra i vivi e l’oblio, rendendo nota la loro presenza a chi li vede solo indirettamente, senza interferire.

Tendiamo a trovarli piuttosto terrificanti, in parte a causa della loro fisionomia spettrale, in parte perché si sono allontanati dalla loro spoglia mortale, giungendo alla fine di un viaggio che tutti noi stiamo percorrendo, e non ne sembrano molto felici.

Per coloro che si tengono alla larga da medium e tavole Ouija, il grande dio Storia è l’unico tramite con i morti. Questo è il suo fascino. E più si va indietro nel tempo – e più si allarga l’abisso cronologico che la separa – più questo fascino diventa allettante.

Ma il nostro dialogo con i morti non può che essere a senso unico. Sì, possiamo intravedere occasionalmente gli antichi attraverso le cose che si sono lasciati alle spalle. Ma la maggior parte delle loro storie è andata perduta e la minoranza è eccessivamente politica e personalizzata, tramandata a noi come elenchi logorroici di imprese di uomini di potere.

Ma le ricompense ci sono, se si gratta sotto la superficie. Si tratta solo di sapere dove guardare.

In Italia, la maggior parte dei turisti si reca a Pompei, un sito che secondo alcuni respira ancora il suo antico passato. Particolarmente famosi sono i corpi perfettamente conservati delle vittime di Pompei – testimoni silenziosi che soccombettero al flusso piroclastico del Vesuvio alla fine del I secolo d.C., comunemente considerato come uno dei più macabri e toccanti legami con l’antichità in tutto il mondo.

Macabro, sì. Commovente, no.

Girando tra i turisti che si aggirano per il parco a tema ricostruito e imbiancato di Pompei, non si percepisce mai veramente il mondo antico. A chi viaggia verso sud, consiglio sempre la vicina Ercolano: meno affollata, meglio conservata, più intima.

Per arrivare a Ercolano, bisogna scendere in un tunnel che porta dalla città moderna all’antica spiaggia. In fondo ci si trova di fronte a uno spettacolo particolarmente morboso: i resti scheletrici degli antichi abitanti di Ercolano, che si rifugiano in perpetuo nelle volte delle case galleggianti della città.

Macabri ricordi della disperazione che attanagliava la città nelle sue ultime ore.

Skeletons in the gatehouse of Herculaneum

Tuttavia, con la città moderna di Ercolano che incombe sull’antico sito, per quanto si cerchi di perdersi nelle sue antiche strade e ville, non si ha mai la sensazione di essersi veramente lasciati alle spalle il proprio mondo e di essersi radicati nel loro.

Ma per frequentare i fantasmi della storia, forse non si può essere radicati in nessuno dei due. Il luogo che ho cercato offre proprio questa prospettiva.

È l’agosto 2016 e sono arrivato a Baia, una piccola località costiera a nord di Napoli.

È una località poco conosciuta dagli italiani, la maggior parte dei quali mi guarda con sospetto ogni volta che ne parlo, non disposti a sospendere l’incredulità finché non hanno tirato fuori il cellulare e consultato Google Maps.

Tuttavia, con la città moderna di Ercolano che incombe sull’antico sito, per quanto si cerchi di perdersi nelle sue antiche strade e ville, non si ha mai la sensazione di essersi veramente lasciati alle spalle il proprio mondo e di essersi radicati nel loro.

Ma per frequentare i fantasmi della storia, forse non si può essere radicati in nessuno dei due. Il luogo che ho cercato offre proprio questa prospettiva.

È l’agosto 2016 e sono arrivato a Baia, una piccola località costiera a nord di Napoli.

È una località poco conosciuta dagli italiani, la maggior parte dei quali mi guarda con sospetto ogni volta che ne parlo, non disposti a sospendere l’incredulità finché non hanno tirato fuori il cellulare e consultato Google Maps.

Lo trovo sorprendente, vista la ricchezza della storia di Baia.

Nel suo periodo di massimo splendore, Baia era il luogo di villeggiatura dei ricchi e famosi di Roma. Giulio Cesare vi aveva una casa di villeggiatura, così come il più noto imperatore Nerone e il filellenico (e notoriamente donnaiolo) imperatore Adriano.

Per la maggior parte, gli scrittori romani ne hanno tessuto le lodi. Secondo Orazio, “nessuna baia sulla terra” superava Baia. Per il poeta romano Marziale, la località vantava le rive dorate di Venere stessa.

Il riferimento venereo è particolarmente azzeccato. Una delle principali attrattive di Baia erano le sue lussuose terme e le saune all’avanguardia, risultato naturale dell’attività termo-vulcanica della zona. Ma sotto la superficie c’era una località di vizi, che prometteva ai suoi potenziali visitatori bordelli, feste in spiaggia e abbuffate che avrebbero fatto impallidire gli inglesi all’estero di oggi.

Il famoso filosofo stoico e precettore di Nerone, Seneca il Giovane, descrive scene che oggi ci sono molto familiari: ubriachi che si aggirano su e giù per la spiaggia a tutte le ore, crociere alcoliche lungo la baia; un luogo dove dare sfogo alle proprie voglie lontano dagli occhi indiscreti della capitale. Sostituite le canzoni corali con l’EDM, e avrete l’Ibiza di oggi.

Lo spettacolo più famoso che ha abbellito le coste di Baia risale al 39 d.C. Per ragioni in gran parte sconosciute, lo scapestrato imperatore Caligola costruì un ponte di navi attraverso la larghezza della baia prima di trascorrere una giornata a galoppare su e giù a cavallo.

Indossata la corazza di Alessandro Magno, si mise alla testa di una processione militare lungo il ponte. Ma mentre il sole tramontava nel mare, lo spettacolo si è trasformato in scene di baldoria bacchica senza limiti. Si dice addirittura che alcuni dei partecipanti più ubriachi siano caduti in acqua e siano annegati.

Joseph Mallord Turner, Caligula's Palace and Bridge at Baia engr. E. Goodall, pub.1842 (1)
Joseph Mallord Turner, Palazzo e ponte di Caligola, ingr. E. Goodall, Foto © Tate

Oggi i napoletani si riversano su altri tratti di costa per sfuggire all’opprimente caldo estivo della città. E nonostante il bel tempo della giornata, non è difficile capire perché.

Con i suoi edifici sfaldati e i bar dall’aspetto stanco, la Baia moderna è poco più di un guscio derelitto di un passato decadente, quasi tutto nascosto. Consegnato alle profondità nel corso dei secoli attraverso il processo vulcanico noto come bradisismo.

Ma non sono venuto per la città o la spiaggia. Alcuni anni fa, seduto a una polverosa scrivania delle Biblioteche Bodleiane di Oxford, ho appreso che nella baia è sommerso un tesoro archeologico di reliquie di uno dei miei periodi storici preferiti. Un periodo di rivoluzione, tirannia, eccessi e dissolutezza: il primo Impero Romano. E oggi lo troverò.

Dopo essermi imbattuta nell’iscrizione all’immersione nel mio italiano grammaticalmente compromesso, ho incontrato la nostra guida.

È un napoletano di mezza età, tarchiato e carismatico, che mescola un senso dell’umorismo terroso – sintomatico di chi proviene da un Sud visibilmente in disfacimento – con un’aria di autorità sicura di sé. Qualità confortanti in un istruttore subacqueo.

Tuttavia, non avendo il necessario brevetto, non potremo annoverarci tra i prestigiosi ranghi dei subacquei della giornata. Oggi faremo invece snorkeling.

Dato che la nostra allegra brigata è composta da un inglese (io), dalla mia compagna irlandese, Alice, e da una coppia di francesi innamorati ma dall’aria nervosa, la nostra guida decide che l’inglese sarà la lingua franca di oggi. E così, in una bella miscela di itanglese, ci parla del sito che visiteremo.

“Oggi ci immergiamo nel Ninfeo di Claudio!”, annuncia, con un tono quasi certamente più drammatico di quanto intenda.

Si trova, ci dice, a una profondità compresa tra i cinque e i sette metri e fu costruito negli anni ’40 d.C. dall’imperatore Claudio, per essere riscoperto solo circa 1.930 anni dopo.

Il Ninfeo era una grotta artificiale, scavata nella roccia della montagna e accessibile solo dall’antico lungomare. Il suo scopo era conviviale e il principale elemento sopravvissuto è il lungo triclinio rettangolare o sala da pranzo.

The Nymphaeum of Claudius at Baia
Il Ninfeo di Claudio a Baia. Crediti immagine: Impero Romano

Il Ninfeo di Baia sarebbe stato una delizia sensoriale.

Durante una delle tante cene dell’imperatore, solo il frastuono dei flauti avrebbe soffocato lo zampillare delle sue fontane. Se si distoglieva lo sguardo dall’intrattenimento o si alzava dalla cena, lo sguardo si posava su numerose nicchie contenenti statue di divinità e di membri della famiglia imperiale (molti dei quali erano ormai divinità) che si estendevano lungo la circonferenza della stanza.

E poi c’è stato il piatto forte: in fondo alla sala da pranzo c’era un’abside, in cui si trovava una rappresentazione statuaria della cavernosa scena dei Ciclopi dell’Odissea di Omero.

Siamo riuniti all’esterno del centro immersioni, a due passi dal molo, mentre la nostra guida termina la sua orazione. Essendo napoletano, scandisce il suo discorso con gesti così esuberanti che sarebbe impossibile replicarli in acqua, e la parte più stereotipata di me che ha pregiudizi pensa che stia solo cercando di esorcizzarli dal suo sistema prima di non essere più in grado di farlo.

Ma, nonostante i suoi sforzi, il suo entusiasmo linguistico non è all’altezza della sua precisione. Con la mia sensibilità inglese che mi spinge a evitare l’imbarazzo a tutti i costi, non chiedo chiarimenti e decido che sarà meglio attingere alle conoscenze precedenti mentre ci dirigiamo verso la barca.

Saliamo a bordo, scambiamo i “ciaos” con un altro gruppo e partiamo per la baia. Mentre la velocità dell’imbarcazione aumenta e la brezza costiera mi investe il petto, mi viene in mente il viaggio di ritorno e rimpiango immediatamente di non aver accettato una muta.

Alla fine, tra onde agitate e acqua agitata, ci fermiamo, a una buona distanza dalla baia ma non troppo lontano da un promontorio sporgente. I subacquei più esperti si buttano immediatamente all’indietro dalla barca. Il nostro gruppo di snorkelisti si trattiene a bordo ancora un po’ prima di buttarsi a terra senza problemi dopo di loro.

Una volta in acqua, ognuno nuota per la propria strada. Per i subacquei, questo significa invariabilmente andare a fondo, e non se ne vede più traccia, a parte le occasionali bolle in superficie o un incontro ravvicinato a sorpresa nelle acque torbide della giornata. Noi che non abbiamo bombole di ossigeno, invece, ci muoviamo nell’acqua, riempiendo a intermittenza i polmoni con l’aria salata dell’estate, tra una breve ma frettolosa discesa sul fondale marino a circa cinque metri sotto di noi.

La coppia francese ritarda la discesa e passa un po’ di tempo a discutere, e non capendo la lingua anche questo suona meravigliosamente romantico. Ma non passa molto tempo prima che il ragazzo si renda conto di essere letteralmente fuori dalla sua portata in questo viaggio e si faccia prendere dal panico, schizzando freneticamente verso il promontorio sporgente.

Lì rimarrà per il resto del pomeriggio, aggrappandosi alle rocce per salvarsi.

L’acqua è tutt’altro che limpida: “non è la giornata migliore per le immersioni”, si lamenta la nostra guida, che sembra quasi certamente più turbata di quanto non voglia. Ma sapendo cosa si nasconde sotto di me, non ho intenzione di farmi fermare. Così, traendo un respiro affannoso, mi immergo nelle profondità.

Il primo personaggio che emerge dall’oscurità immobile e silenziosa di Baia è una statua acefala di Ulisse (altrimenti noto come Odisseo). Inginocchiato in segno di supplica, il fondale marino si chiude intorno alle sue ginocchia, offre a una statua del Ciclope, scomparsa da tempo, un calice che trabocca d’acqua da almeno cinquecento anni.

Odysseus Statue Baia
Statua di Ulisse a Baia

Razionalizzo la sua presenza con i famosi interessi accademici, soprattutto ellenici, di Claudio. Scoprirò in seguito che la scena del ciclope era un motivo visivo comune nelle cene aristocratiche, in particolare quando venivano ospitate nelle grotte.

In effetti, avere un Polifemo personale (qualcuno che ascolta le tue preghiere, qualcuno che si preoccupa) era un buon modo per l’aristocrazia di giocare con il tema dell’ebbrezza, dimostrando al contempo un notevole apprezzamento per la cultura greca.

Più tardi scoprirò anche che Baia potrebbe aver preso il nome da un certo Baius, il nocchiero di Ulisse che, secondo la leggenda, era sepolto nelle vicinanze. Mi spingo fuori dal fondale marino e vado a prendere aria prima di tornare a presentarmi a un altro personaggio.

Pur essendo completamente privo di lineamenti, la figura è così inquietantemente realistica nella forma e nella postura che non posso fare a meno di immaginarla tra i calchi di gesso delle vittime di Pompei, testimoni silenziosi di un disastro che avrebbe sconvolto il mondo antico meno di mezzo secolo dopo la costruzione di questo triclinio.

Statue of Baios. Photo Credit Moriarty (Atlas Obscura User)
Statua di Baios. Foto di Moriarty (Atlas Obscura Utente)

C’è qualcosa prometeico, di impotente, in lui: incatenato a una roccia, lotta invano per liberarsi dal vuoto acquatico che è diventato il suo mondo.

La sua storia, tuttavia, non appartiene a Pompei, ma al nono libro dell’Odissea di Omero. È il compagno di Odisseo, l’uomo incaricato di portare il sacco di vino di pelle di capra usato per inebriare il Ciclope e fuggire dalla sua caverna (aggrappandosi al ventre di alcune pecore presumibilmente enormi).

La storia di Odisseo mi colpisce, anche se capirò il perché solo più tardi. Per ora ci separiamo, mentre mi allontano leggermente dal fondale di Baia. Dopo aver superato la superficie, inizio subito a riferire ad Alice ciò che ho visto. O almeno a quella che ritengo essere lei. Vedete, le persone tendono ad avere lo stesso aspetto quando sono immerse fino alle spalle nell’acqua e indossano maschere da snorkeling gonfie di vapore. Perciò finisco per parlare con la ragazza francese, piuttosto confusa.

Il suo ragazzo, a questo punto, è ancora aggrappato al promontorio roccioso a una certa distanza, ma una risata nervosa e un po’ soffocata suggerisce che ha preso abbastanza bene i miei sproloqui incomprensibili.

Anche se fosse stata Alice, la barriera non sarebbe stata la lingua, ma la mia incapacità di esprimermi. Perché c’è qualcosa di quasi indescrivibile nell’immergersi in un mondo diverso. Sospinti dall’acqua, non ci si può fisicamente appoggiare sul pavimento a mosaico che costituisce il loro antico livello. Senza un’attrezzatura subacquea zavorrata, anche per rimanere a una profondità tale da potersi trovare faccia a faccia con una delle statue è necessario continuare a spingersi ripetutamente verso il basso. Ripetendo un movimento che per gli antichi poteva assomigliare a una preghiera.

Qui, sospeso tra i nostri due mondi, sospeso in una nebbia di acqua torbida e riconoscendo l’assurdità dei miei movimenti, mi vedo riflesso attraverso occhi antichi. Come un intruso. Un alieno. Un fantasma.

Mi trovo ora nella mia ultima discesa della giornata, fluttuando, in modo impossibile, nella sala da pranzo di un imperatore. Davanti a me si erge la statua sorridente di un dio, un blocco di marmo che per gli antichi sarebbe stato più tangibile di me stesso o degli organismi biodeteriorativi che lo stanno consumando.

I Romani lo avrebbero riconosciuto come Bacco, i Greci come Dioniso. Dio del vino, del teatro e dell’estasi. Ma era anche il nutritore di anime, un ponte tra i vivi e i morti. Sentendomi sopraffatto – forse dalla pressione dell’acqua, forse dal mio bisogno sempre più disperato di aria, o forse dalla mia fugace ma immediata connessione con questo mondo perduto – mi congratulo silenziosamente con lui per il buon lavoro.

Finché sarà consegnato quaggiù, Bacco continuerà a colmare questo vuoto per coloro che lo cercano. E continuerà a farlo anche dopo la mia scomparsa, non solo dal suo mondo, ma anche da questa terra. Gli antichi se ne rendevano conto. Avevano capito la loro caducità. Come disse Euripide nel V secolo a.C.:

“Oh Teseo, caro amico, solo gli dei non invecchiano mai, gli dei non muoiono mai. Tutto il resto del mondo il tempo onnipotente lo cancella…”.

Eppure questo è anche un mondo che cesserà di esistere nel momento in cui lo abbandonerò. È un mondo nascosto, invisibile, che prende forma solo grazie alle esperienze personali di coloro che hanno il privilegio di vederlo.

Baia Somersa. Baia Underwater Statue. Copyright Baia Somersa
Copyright: Baia Somersa

Sotto le onde, Baia è uno spazio morto, un’atmosfera acquatica: incomprensibile per chi ha cenato qui duemila anni fa. Lo riempiono con le loro voci, i loro odori, le loro vanterie e le loro vergogne private. È un luogo in cui non posso restare, ma che ha instillato in me una sensazione di mortalità transitoria, temibile ma vivificante, che sospetto mi accompagnerà per sempre.

Comincio a capire il motivo per cui la storia di Odisseo era così suggestiva. Nell’undicesimo libro dell’epopea di Omero, è sulle rive avvolte dalla nebbia del fiume Oceano – in condizioni particolarmente talassiche, torbide e buie – che Odisseo compie la sua pericolosa discesa negli inferi, in missione per incontrare i suoi fantasmi.

Così come le condizioni dell’Eneide, l’epopea latina di Virgilio, scritta pochi decenni prima della costruzione del Ninfeo di Claudio. Qui ho un’improvvisa, fredda e terrificante epifania: che Virgilio ha esplicitamente identificato l’area vulcanica dei Campi Flegrei a nord-ovest di Napoli come l’ingresso ai suoi inferi. E che in quel momento mi trovavo in mezzo ad esso, galleggiando tra i fantasmi, annegato nelle tenebre.

Ma né Odisseo né Enea potevano soffermarsi troppo a lungo con le ombre dei morti. Non finché potevano ancora respirare. E mentre una fredda paura comincia ad attanagliarmi, sono grato che i nostri rispettivi inferi abbiano questo in comune. Con il petto che si stringe e la pressione che preme sulle orecchie, tutti i miei pensieri si rivolgono alla risalita in superficie e al mondo da cui provengo.

Alla fine della tragica trilogia di Edipo di Sofocle, il cieco Edipo sente un temporale che interpreta come un avvertimento di Zeus sulla sua morte imminente. Rinvigorito da una forza che si era quasi esaurita nel corso della sua lunga e traumatica vita, Edipo conduce Teseo e le sue due figlie in un luogo dove versa una libagione e si bagna prima di mandare via tutti.

Poi, in un istante, scompare senza traccia.

Nessuno è presente per assistere al mio arrivo. Nessuna diegesi racconta la mia partenza. Nessuna impronta segna la mia visita.

Come Edipo, anche il mio tempo nel mondo degli antichi è finito. E così, con l’aria finita nei polmoni, mi congedo dal loro mondo morto e silenzioso e mi allontano un’ultima volta dal pavimento di Baia.

Torno nel mio mondo di calore, di luce, di vita.

Alexander Meddings
Alexander Meddings

Alexander Meddings è uno storico britannico. Dopo essersi laureato in storia antica all'Università di Oxford, si è trasferito in Italia per persegurie la sua passione per la storia antica romana. Alexander svolge la sua attività come scrittore nel ambito di turismo a Roma.

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